DJ Fabo: una sconfitta per tutti

occhioI francesi dicono “regarder” per dire “guarda” ma anche “mi riguarda”. Quello che sottende questa azione è il fatto di “voler vedere” ma anche “farsi coinvolgere” sapendo che ciò che guardiamo fa parte di noi. Questo non è avvenuto nel caso del DJ Fabo (Fabiano Antoniani) che richiama alla mente quelli di Piergiorgio Welby e di Luca Coscioni e mette in luce una mancanza non solo legislativa ma anche di discussione e riflessione seria sul diritto di cura e sul morire bene. Il primo non può prescindere dal secondo.

Al di là del fatto del singolo, ciò che colpisce è questa sorta di ricatto sociale di andare in Svizzera o in Olanda, quando è qui, in Italia, che il problema va risolto. Chi rimane in Italia cosa fa?. Non bisogna contrapporre il fine vita al diritto di cura. Ci ritroviamo sempre in questo dibattito, ma la verità è che c’è una mancanza di approccio che la politica non è in grado di farsi carico di un problema complesso”. Il disegno di legge sul testamento biologico al momento è fermo in Parlamento ma, è una legge zoppa che non soddisfa né i laici né i cattolici.

Io credo che questa materia vada affrontata laicamente ma rispettando tutti i punti di vista, E’ una medaglia con diverse sfaccettature e il suo rovescio è il diritto di cura. Se calpestiamo il diritto di cura per dare la libera scelta, che io ritengo legittima, facciamo un danno a migliaia di malati che meritano attenzione legislativa e sostegno alle cure di cui hanno bisogno”. Ancora una volta ci troviamo a disc ernere sulla questione del diritto alla nutrizione e all’idratazione, considerati accanimento terapeutico, quando sono sostegno a persone in situazione di grave difficoltà. Perché su questo non c’è un dibattito? Chi combatte per la libera scelta dovrebbe impegnarsi anche per il diritto di cura e al vivere bene.

La morte del DJ Fabo dunque è una sconfitta per tutti. Per la società civile e per la politica che ancora una volta non è riuscita a raccogliere un problema, quello del “fine vita” che va analizzato nel suo complesso: dal diritto di cura, alla convivenza con la malattia, al morire bene ed alla libertà di scelta. Se non facciamo lo sforzo di analizzare tutto il percorso di cura nelle gravissime disabilità, nell’autodeterminazione come nei casi di disturbi della coscienza dove entrano in campo legami familiari e affettivi, fino al fine vita, non riusciremo mai a definirci paese civile che tutela tutti i cittadini anche quelli più fragili. Fabo non aveva più tempo di attesa, così come le tante persone con disabilità che chiedono cura e attenzione, di non avere tagli economici sui fondi per la loro assistenza, di essere annoverati cittadini di serie A come tutti quanti dovremmo essere. Non dimentichiamo le tante persone gravemente disabili che pur nel loro dolore e nel dramma della loro condizione hanno al loro fianco famiglie straordinarie che creano una rete comunitaria che avrebbe bisogno di un progetto politico a sostegno della loro azione. Questi problemi non possono essere rinchiusi dentro una famiglia ma hanno bisogno di uno Stato/famiglia che se ne faccia carico.

E allora non si capisce bene perché si debba sempre guardare al “fine vita” come all’emergenza essenziale del nostro paese e non invece come quella parte finale di un percorso di vita che va tutelato, in tutte le sue condizioni. Mi vengono in mente le parole di Mauro Giusti persona gravemente disabile autore del testo di una canzone musicata da Marco Spaggiari: “La strada è lunga ma le persone che ho a fianco sono tante, sono loro che compongono passo dopo passo il mio percorso ed allora non è più importante se la strada comincia a salire perché a spingermi c’è sempre qualcuno…”.

 

Fulvio De Nigris

Direttore Centro Studi per la ricerca sul Coma

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Data: Mon, 27 Feb 2017 15:39:00 +0100 (CET)

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