L’ultima volta che ci eravamo visti con Beppino Englaro era stato il 23 novembre 2010 in occasione di una iniziativa organizzata da Salute- La Repubblica. Un dibattito coordinato da Guglielmo Pepe allora direttore dell’inserto del giornale. Fu un incontro interessante, civile, come lo è stato quello al festival “E’storia”di Gorizia il 23 maggio scorso e dedicato alla famiglia, in un contesto diverso e principalmente in un momento storico molto differente.
Allora, ad oltre un anno dalla scomparsa di Eluana si dibatteva sul testamento biologico ed eravamo nel pieno della polemica sulla trasmissione di Fabio Fazio “Vieni via con me” che aveva creato non pochi malumori per uno sbilanciamento della comunicazione sul tema della morte, senza contradditorio, e che aveva ispirato la campagna di “Avvenire” dal titolo “Fateli parlare” in prima pagina, per molti giorni, con alcuni testimoni di quel percorso vissuto o prossimo a persone in stato vegetativo. Tra questi c’ero anch’io e fu un periodo in cui le contrapposizione di idee, di vedute e di prospettive, parlando del fine vita, aveva dato a tutto il contesto una spinta vitale. Oggi a nove anni di distanza, con la legge approvata e lontani da quel clamore e dal dolore caldo per la morte, quella morte, di una ragazza in stato vegetativo, l’incontro con Beppino Englaro ha rinnovato la narrazione. Quella di una storia infinita che se di principio non ha mai intesto contrapporre la libertà di scelta al diritto di cura, nei fatti ha creato uno sbilanciamento nell’opinione pubblica sulla condizione reale delle persone in stato vegetativo; che non sono come la foto di Eluana che è circolata sui giornali durante tutta la vicenda: la foto di una ragazza nel fiore degli anni, che comunicava tutto ciò che di bello può riservare la vita ad una persona giovane e in salute. Invece, la foto di Lambert rimanda alla vera condizione: quella di una persona che non per tutti attrae lo sguardo, non per tutti ispira solidarietà o progetti per il futuro. Oltre il coraggio di due padri che hanno reagito in maniera diversa e con azioni civilmente differenti ,l’incontro che abbiamo avuto, all’esterno, non ha consentito di far rilevare altro. Perché è la “condizione delle persone in stato vegetativo e dell’ambito familiare e affettivo di riferimento” l’ostacolo da superare. Quella di persone che molto spesso non riescono a farsi sentire perché è più facile parlare di fine vita e del diritto del morire che del diritto di vivere nella convivenza con la malattia ed in condizioni di estrema fragilità. Ed è sempre in quella condizione, che riguarda migliaia di famiglie, che noi oggi dobbiamo trovare risposte.
Alla signora che si professava cattolica praticante e che alla fine dell’incontro a Gorizia ha detto : “quella non è vita”. Ho solo risposto con l’evidenza: “Signora non ci sono macchine. C’è solo un respiro spontaneo che schiude la porta di un mondo diverso”.
Fulvio De Nigris